Prima di restare incinta è utile sapere se si è immuni oppure no

Se contratta può provocare malformazioni anche gravi al feto perché il virus è in grado di attraversare la placenta

Oltre ai timori legati alla toxoplasmosi o al citomegalovirus, una delle paure delle mamme in dolce attesa è quella della rosolia, una malattia esantematica molto comune. Se contratta da bambini o comunque non in gravidanza, la rosolia rientra tra le patologie più banali. Il discorso però è assai diverso durante la gestazione. Vediamo insieme perché.

La rosolia è scatenata da un virus ed è una malattia che si trasmette facilmente con le goccioline di saliva. La buona notizia è che, se si prende una volta, si rimane immunizzati e quindi non ci sono ricadute. Pur essendo tipica dell’infanzia, la rosolia può colpire a qualsiasi età ed è per questo che bisogna fare particolare attenzione se si è incinta.

Quando la malattia si prende in gravidanza (in particolare nelle prime settimane), il virus può attraversare la barriera della placenta e colpire il feto, danneggiandolo. Sono infatti possibili malformazioni anche molto serie. Se questo avviene nel primo trimestre, si può andare incontro ad un aborto spontaneo.

Se invece la gravidanza giunge al termine, la probabilità di una malformazione dipende dal momento in cui è avvenuto il contagio: 60% se è stato nel primo mese di gestazione, 40-50% nel secondo, 10-20% nel terzo, meno del 10% al quarto mese, per poi scendere notevolmente.

Ecco quali sono i sintomi della rosolia: macchie rosate che compaiono prima sul viso, poi sul tronco e sugli arti, febbre non particolarmente elevata, talvolta raffreddore, ingrossamento dei linfonodi del collo. I sintomi si presentano 2-3 settimane dopo il contagio e l’evoluzione è abbastanza veloce: 2-5 giorni.

Attenzione: tutti questi segnali possono anche non esserci e la rosolia passare del tutto inosservata, per poi essere scoperta durante i normali esami del sangue.

Prima di avere un bambino sarebbe dunque utile sapere se si è immuni o no alla rosolia. Questo è possibile sottoponendosi al cosiddetto Rubeo-test, un semplice esame (gratuito) che svela la presenza o meno di anticorpi contro la rosolia nel sangue. In particolare, il valore IgM indica le immunoglobuline che si producono nella fase acuta della malattia (restano in circolo circa 2 mesi e poi scompaiono), mentre le IgG si presentano 1-2 settimane dopo aver contratto l’infezione, ma restano nel sangue tutta la vita.

Se le IgG sono quindi positive e le IgM negative significa che la rosolia è stata contratta e si può star tranquille. Se entrambi i valori sono negativi invece non c’è mai stato contatto con il virus e quindi il rischio è elevato. Se IgG e IgM sono positive significa che l’infezione è stata recente.

Cosa fare quindi se non si è avuta la rosolia? Se si sta programmando una gravidanza, si può ricorrere al vaccino. È sicuro e protegge al 100% dalla malattia. Il vaccino però non può essere fatto a gravidanza già avviata perché anche il virus attenuato presente nel siero può attraversare la placenta e danneggiare il feto.

In gravidanza, quindi, se non si immuni alla rosolia, è più difficile proteggersi. Chi lavora a stretto contatto con i bambini, ad esempio in asili e scuole, può chiedere il congedo di maternità anticipato. In ogni caso, è bene eseguire il Rubeo-test ancora prima di mettere in “cantiere” l’arrivo di un figlio ed è proprio per questo motivo che è uno dei primissimi esami cui sottoporsi.