Giusto arrivare preparate e sapere quello che avverrà

Il percorso dalle prime contrazioni al secondamento

Si aspetta con trepidazione, curiosità e – perché no – anche una buona dose di paura. Il parto è una delle esperienze più forti e intense per una donna e non solo per il dolore che inevitabilmente lo accompagna. È l’incontro con l’uomo o la donna della propria vita, un’emozione indescrivibile. È importante però prepararsi a questo evento, conoscendo le fasi del parto, quello che succede al corpo, quanto durano e così via.

È fondamentale chiarire subito che ogni parto è a sé. Non ci sono degli standard uguali per tutte. Esistono poi delle differenze tra il primo e i seguenti (questi, in genere, sono più veloci, ma anche questa non è una regola) e molto dipende anche da come si arriva al grande giorno. In questo giocano un ruolo basilare i corsi preparto che insegnano molto sulla fisiologia della donna e sulle varie tappe che si affronteranno.

Tradizionalmente si distinguono 4 fasi del parto spontaneo: prodromica, dilatante, espulsiva, secondamento. Vediamo in dettaglio.

Fasi del parto: la prodromica

Inizia tutto da qui, con i prodromi, cioè le “avvisaglie” che il corpo manda per avvertire che “qualcosa comincia a muoversi” in vista del parto. La fase prodromica può partire anche diversi giorni prima del parto. Si presenta con sintomi variabili da donna a donna. Tra questi ci sono contrazioni preparatorie, malessere, dolore alla schiena, disturbi gastrointestinali. Si tratta di segnali molto vaghi.

Le contrazioni che si presentano ora non sono quelle “giuste”. Non sono regolari e neanche particolarmente dolorose. Sono ancora quelle preparatorie e non devono far correre in ospedale.

Altro segnale che potrebbe verificarsi è la perdita del tappo mucoso. È una secrezione di muco che durante la gravidanza chiude il canale cervicale. Quando il parto si avvicina, il tappo viene espulso, ma può anche non succedere. Talvolta il muco è misto a sangue, ma non è una cosa che deve preoccupare.

Durante la fase prodromica, il feto piano piano comincia a scendere. Le contrazioni indicano che l’utero inizia a prepararsi, anche se il momento clou potrebbe non essere vicinissimo.

Fasi del parto: la dilatante

Con la fase dilatante si entra ufficialmente in travaglio. Come suggerisce il termine, l’utero si dilata per permettere il passaggio del bambino. E come lo fa? Contraendosi. Via via che il travaglio procede, le contrazioni diventano regolari nel tempo, più lunghe e più dolorose. Se all’inizio si verificano ogni 40-30 minuti e durano pochi secondi, poi sono molto ravvicinate (ogni 5 minuti, poi ogni 1-2) e durano anche 40-60 secondi. Tenere sotto controllo la regolarità delle contrazioni è importante per capire quando è ora di andare in ospedale.

Cosa succede al corpo durante la fase dilatante? Come abbiamo detto l’utero si contrae, la cervice uterina si assottiglia sempre più, allineandosi alle pareti della vagina. Il corpo dunque “si apre” per permettere al bimbo di nascere. Quando la dilatazione procede, si dice che il collo dell’utero è appianato e centralizzato. Se invece si sente dire “collo conservato, posteriore, chiuso” significa che ancora c’è un bel po’ di strada da fare…

La dilatazione è completa a 10 centimetri. Ogni donna desidera solo una cosa: raggiungere questo obiettivo prima possibile. Prevedere quanto dura il travaglio è impossibile. Se vogliamo azzardare una stima diciamo che si va da 2 a 8-10 ore, ma sono numeri attendibili fino a un certo punto. Di solito, una donna al primo parto ha un travaglio più lungo di una pluripara.

Durante la dilatazione in genere si ha la rottura delle membrane con perdita di liquido amniotico (“mi si sono rotte le acque”). Altre volte questa si verifica prima dell’avvio del travaglio. In questo caso è necessario recarsi in ospedale, anche se non è detto che le contrazioni si presenteranno di lì a breve.

Fasi del parto: l’espulsione

Ci siamo quasi. Tra le fasi del parto questa è quella centrale. Ora il bambino è pronto per nascere. È sceso attraverso il canale del parto e la testa è molto bassa. La futura mamma avverte la necessità di spingere. È una sensazione che provano tutte le partorienti, si chiama “premito” e non si può non riconoscere. Sembra di dover andare in bagno per evacuare. Questo avviene perché il piccolo preme sull’ampolla rettale.

A dilatazione completa si può (e ovviamente si deve) cominciare con le spinte. Se il premito si avverte troppo presto (ad esempio a 4-5 centimetri di dilatazione) non si deve spingere. Il rischio è quello di lacerarsi. In ogni caso, è consigliabile già in gravidanza l’assunzione di integratori di collagene per rinforzare i tessuti.

La fase espulsiva ha una durata variabile da donna a donna. Di sicuro è più breve rispetto alla dilatante, anche se nelle nullipare solitamente dura un po’ di più.

Come spingere? Questo è uno degli insegnamenti del corso preparto. La spinta deve avvenire nel momento in cui la contrazione è al suo apice, mentre ci si deve fermare tra una contrazione e l’altra. Importantissima la respirazione per evitare di restare senza fiato. Pure questo viene insegnato al corso, anche se c’è da dire che quando ci si ritrova nel bel mezzo del parto è facile farsi prendere dalla confusione. Assecondare i messaggi che lancia il proprio corpo è un consiglio prezioso.

La testolina è la prima parte che esce. Con una spinta successiva poi “sguscia fuori” il resto del corpo. Quando ci sono delle difficoltà nell’espulsione potrebbe essere praticata un’episiotomia. L’espulsione può anche provocare lacerazioni da parto di varia entità (ne abbiamo parlato QUI).

Spesso prima della fase espulsiva c’è un rallentamento nelle contrazioni. È la cosiddetta “latenza”, un momento di stop prima dello sprint finale. È la dimostrazione di come il corpo umano sia una macchina meravigliosa.

Fasi del parto: il secondamento

Dopo che il bimbo nasce, viene tagliato il cordone ombelicale (il “clampaggio”). In seguito avviene il cosiddetto secondamento, ovvero l’espulsione della placenta che si stacca dalle pareti uterine. Si verifica grazie alle contrazioni dell’utero che, in questa fase, servono per farlo tornare alla normalità. Di solito, il secondamento avviene entro 10-15 minuti da parto. Se passa più di un’ora senza che accada nulla, si procederà con il secondamento manuale. Viene eseguito dal ginecologo e la mamma viene sedata.

Cosa succede dopo il parto

Dopo l’espulsione della placenta, il medico controlla la cavità uterina per verificare che non siano rimasti all’interno dei frammenti: potrebbero provocare infezioni. Inoltre, è il momento in cui vengono suturate eventuali lacerazioni spontanee o da episiotomia.

La mamma viene tenuta sotto osservazione per un paio d’ore in una stanza adiacente alla sala parto. È una misura precauzionale soprattutto per controllare che non si ci siano emorragie. È un’eventualità rara, ma può accadere e bisogna essere preparati.

Subito dopo i controlli di routine (in alcuni ospedali anche prima), il neonato viene consegnato alla madre per attaccarlo subito al seno. L’ideale (anche stando alle linee guida delle autorità sanitarie) sarebbe il contatto pelle a pelle. Favorisce la suzione, ma anche l’instaurarsi di un legame profondo.

Fasi del parto e gestione del dolore

Non esiste travaglio senza dolore, ma esistono dei metodi per alleviarlo. Uno di questi è sicuramente la partoanalgesia. L’epidurale è la tecnica più comune per diminuire il dolore della contrazioni. Ma quando si fa? Non troppo presto, chiaramente, altrimenti si rischia di far cessare l’effetto benefico troppo presto. Il travaglio dunque deve essere ben avviato prima di procedere.

È possibile fare più rabbocchi, cioè somministrare dosi di anestetico a più riprese. L’epidurale consiste nell’applicazione di un piccolo catetere nella schiena. I farmaci sono somministrati proprio da questo tubicino. Quasi alla fine della gravidanza, tra le cose da fare c’è la visita anestesiologica in vista di un’eventuale epidurale.

Anche il parto in acqua può essere utile per controllare il dolore. Si può scegliere di fare il travaglio oppure la fase espulsiva. In questo secondo caso, ci si immergerà nella vasca a dilatazione avviata. L’acqua calda può anche accelerarla, oltre a ridurre sensibilmente la percezione dolorosa.

Fasi del parto: quali posizioni assumere

Ormai la linea di pensiero è pressoché unanime: in tutte le fasi del parto una donna dovrebbe essere lasciata libera di scegliere la posizione in cui si trova più a suo agio. Niente costrizioni, dunque. Non si deve più partorire nella classica posizione ginecologica a pancia in su, ma mettendosi come si preferisce, ascoltando bene il proprio corpo. Ovviamente questo vale se il parto è fisiologico e senza problemi particolari.

Non sempre la fase dilatante viene fatta in sala travaglio. Se tutto procede con regolarità, la mamma potrebbe rimanere nella sua stanza oppure in corridoio fino a dilatazione quasi completa. Camminare aiuta molto sia nella gestione del dolore che nella velocità di dilatazione. Utili possono essere poi i palloni su cui dondolarsi per alleggerire il mal di schiena e alla pancia.

Per quanto riguarda il parto vero e proprio, stare carponi è consigliato soprattutto quando la parte presentata è in posizione corretta solo parzialmente. In questo modo, i bambini si spostano. Se invece la dilatazione è completa da più di due ore e c’è un rallentamento della progressione, si invita la donna a mettersi in piedi per favorire la discesa del bimbo. La posizione su un fianco, soprattutto quello sinistro, è consigliata per evitare le lacerazioni vaginali.