L’acqua calda fa produrre endorfine, cosiddetti ormoni del benessere

I vantaggi sono per mamma e neonato, ma in alcuni casi meglio evitare

Sono sempre più gli ospedali e le cliniche italiani che offrono alle donne una piacevolissima modalità per mettere al mondo i propri figli. È il parto in acqua, una tendenza molto diffusa in alcuni Paesi (ad esempio, nel nord Europa), ma che sta prendendo piede anche in Italia. Vediamo quindi di saperne un po’ di più, sottolineando ogni aspetto che può essere interessante.

Come avviene il parto in acqua

Dal punto di vista pratico, la donna che sceglie il parto in acqua viene fatta accomodare in una vasca colma di acqua, dotata anche di maniglie cui tenersi. La temperatura è di 37°C, pressoché uguale a quella del corpo. Questo fa sì che, dopo l’espulsione, il bambino si ritrovi esattamente nello stesso ambiente in cui è stato durante la gravidanza. Passa quindi dal liquido amniotico all’acqua della vasca, con uno stress certamente minore.

Subito dopo il parto, il piccino viene adagiato sul petto della mamma e si taglia il cordone ombelicale. L’ideale sarebbe prolungare quanto più possibile il contatto pelle a pelle (anche per favorire il corretto avvio dell’allattamento), ma i protocolli impongono che il neonato venga sottoposto ai normali controlli medici (ne abbiamo parlato QUI) e poi riconsegnato alla madre.

Dopo l’espulsione della placenta, la donna viene quindi fatta uscire dalla vasca e accompagnata su un lettino. Qui verrà visitata a sua volta e le saranno messi eventuali punti di sutura in caso di lacerazioni.

Quando si entra nella vasca

In realtà, ci sono diverse alternative. La futura mamma può immergersi a travaglio avviato (almeno 4-5 centimetri di dilatazione) oppure un po’ prima e decidere di uscire dalla vasca prima della fase espulsiva, partorendo “all’asciutto”. In altri casi, invece, si può entrare in vasca quando l’espulsione è ormai prossima. In linea generale, è consigliabile rimanere immerse per non più di 3 ore. Da tenere presente che, per alcune, la temperatura dell’acqua è fastidiosa. Si può chiedere di uscire dalla vasca in qualunque momento.

I benefici del parto in acqua

Il parto in acqua ha indiscutibili vantaggi sia per la mamma che per il bambino. Il primo è la diminuzione della sensazione dolorosa. È ovvio che le contrazioni non scompaiono, ma l’acqua attutisce il dolore. In particolare in chi ha travagli lunghi, con contrazioni prolungate, molto dolorose e fastidiose, l’acqua genera dei benefici incredibili poiché i recettori a livello cutaneo ritardano la percezione del dolore a livello cerebrale. Questa è la teoria del “cancello del dolore” per cui la sensazione dolorosa arriva al cervello in maniera ritardata: grazie a ciò, il ricorso all’epidurale praticamente non serve.

L’acqua calda inoltre rende più morbidi i tessuti e quindi c’è un rischio minore di lacerarsi. Se durante la gravidanza si è assunto regolarmente anche un integratore di collagene il pericolo è ancora minore. In acqua l’episiotomia non è quasi mai necessaria. Si riducono i tempi della fase dilatante, quindi del travaglio.

Un altro vantaggio per la donna è quello di poter assumere la posizione più comoda e di muoversi liberamente nella vasca. L’acqua sostiene il peso, donando una sensazione molto positiva e alleggerendo la schiena. L’acqua calda ha anche l’effetto di diminuire i battiti cardiaci della mamma. Uno studio scientifico condotto a Palermo grazie ad una specifica app nata per il parto in acqua, Water Birth, ha dimostrato che sentire meno dolore fa rilassare e, di conseguenza, si riduce anche la frequenza cardiaca. Infine, altro aspetto non certo meno importante è il recupero dopo il parto: chi lo fa in acqua, in genere si riprende più velocemente.

Come accennato all’inizio, il neonato viene alla luce in modo più sereno e fisiologico. Il passaggio dalla pancia della mamma all’acqua calda della vasca significa meno stress. Ecco perché molti bimbi che nascono in acqua non piangono immediatamente: non è un problema respiratorio, ma significa che l’adattamento al mondo esterno è stato meno traumatico.

Chi può fare il parto in acqua

La condizione fondamentale è che il travaglio proceda in modo regolare e che non ci sia nulla che non va. Il tracciato cardiotocografico (che controlla il battito cardiaco fetale e le contrazioni) deve quindi essere perfetto, senza segni di sofferenza fetale.

Si può fare il parto in acqua se:

  • la mamma ha avuto una gravidanza serena, senza grossi problemi.
  • La donna è in buone condizioni di salute.
  • Le acque non sono tinte (cioè se il liquido amniotico non è contaminato da meconio: in quel caso diventa verdastro).
  • La gravidanza è a termine (dopo le 37 settimane).
  • Il bambino è in posizione cefalica.
  • L’ospedale è ben attrezzato.
  • Il personale è appositamente formato sul parto in acqua ed è in grado di intervenire in caso di necessità.

Le controindicazioni

In alcuni casi il parto in acqua è sconsigliato o addirittura vietato:

  • malattie della mamma (come la gestosi, l’ipertensione o patologie infettive, come l’epatite B o l’Hiv).
  • Placenta previa.
  • Gravidanza gemellare.
  • Posizione non corretta del feto.
  • Malformazioni fetali.
  • Tracciato cardiotocografico irregolare.
  • Bambino troppo grande oppure con basso peso stimato alla nascita.
  • Emorragie.

Il riflesso di immersione del neonato

La domanda è spontanea: ma il bambino non annega? Ed è una domanda legittima perché in genere con una spinta esce la testa e poi, dopo quella successiva, il resto del corpo. Quindi il piccolo resta immerso per un po’ prima di essere tirato fuori dall’ostetrica. Ma non c’è alcun rischio.

Il riflesso di immersione (detto anche diving reflex) consente al neonato di andare in apnea se immerso nell’acqua. Grazie alla chiusura di una valvola, il bimbo non “beve”. Spesso si dimentica che ha vissuto 9 mesi immerso nel liquido amniotico, quindi è assolutamente abituato.

Parto in acqua e igiene della vasca

Si potrebbe pensare che il parto in acqua non sia particolarmente igienico. Ovviamente con l’espulsione del feto prima e della placenta poi l’acqua può sporcarsi di sangue. Oppure con le spinte, se l’intestino non è vuoto, può succedere di evacuare (cosa cui le ostetriche sono abituate: interverranno in un secondo) o di urinare. Dopo ogni parto, la vasca viene lavata e disinfettata, pronta per il successivo.

Parto in acqua: informazioni pratiche

Molte future mamme si chiedono se il parto in acqua debba essere prenotato o se si paga. La risposta è no ad entrambe le domande. A fine gravidanza, la donna deve fare presente al proprio ginecologo o all’ostetrica il suo desiderio di partorire nella vasca, ma ci devono essere le condizioni giuste perché questo possa accadere. Innanzitutto, la vasca deve essere libera e non occupata da altre gestanti. E poi deve esserci la massima sicurezza per mamma e piccolino. A seconda di come procede il travaglio, il personale sanitario può anche sconsigliare questa modalità di parto.

Se si desidera il parto in acqua ci si deve ricordare di portare con sé in ospedale alcune cose importanti: accappatoio, ciabatte di gomma, phon, un reggiseno in più oppure la parte superiore di un costume da bagno, se non si vuole essere completamente nude.