Indice dei contenuti
- Parto in ospedale: quanti all’anno
- Parto in ospedale ed epidurale
- Parto in ospedale e Vbac
- Parto in ospedale e presenza del partner (o di un parente)
- Ospedale e posizioni per partorire
- Parto in ospedale e terapia intensiva neonatale
- Parto in ospedale e rooming-in
- Parto in ospedale: altri consigli per la scelta
Le variabili sono tante, ma deve prevalere la sicurezza di mamma e bebè
Ad esempio, va valutato se si può avere epidurale h24 e se fanno roaming-in
La scelta del luogo dove partorire sembra semplice, ma in realtà non è così. Le variabili sono tante, così come sono molteplici gli aspetti che vanno considerati. Un criterio però deve prevalere sugli altri in modo assoluto: la sicurezza. Sia la mamma che il bambino devono essere accolti in luogo che dia delle garanzie nel caso in cui ci sia qualche problema. Purtroppo l’imprevisto è sempre dietro l’angolo, anche nelle gravidanze più perfette, e chi fa un parto in ospedale deve essere certa di trovarsi in un posto sicuro.
Prima di decidere dove partorire è quindi opportuno farsi delle domande, anche in base al tipo di parto che si vorrebbe. Qui degli esempi. Mi faranno l’epidurale anche se partorisco alle 3 di notte? Potrò assumere qualsiasi posizione io desideri per partorire? Il mio bambino starà nella stanza con me? C’è la vasca per il parto in acqua? E se volessi provare il Vbac?
Per trovare le risposte bisogna informarsi bene. Il semplice passaparola non basta, ma si deve andare direttamente nella struttura sanitaria in cui si desidera partorire. Ogni futura mamma deve però tenere a mente una cosa fondamentale: ogni parto è a sé e non ci saranno mai due donne che lo vivono allo stesso modo.
Parto in ospedale: quanti all’anno
Un criterio per decidere dove partorire riguarda il numero di bambini che ogni anno vengono alla luce in quel posto. È intuibile che, se ne nascono molti, il personale sarà più “esperto” e abituato a far fronte a ogni tipo di esigenza. È quindi una questione di sicurezza. Il ministero della salute in questo è molto chiaro: i punti nascita con meno di 500 parti all’anno sono considerati meno sicuri e via via stanno scomparendo dal territorio.
In genere, le gravidanze problematiche (ad esempio, se la mamma ha il diabete oppure se ha la placenta previa) sono seguite in strutture di secondo o terzo livello. Sono ospedali più attrezzati e pronti ad intervenire in caso di complicanze.
Parto in ospedale ed epidurale
L’anestesia epidurale è un metodo molto efficace per alleviare il dolore delle contrazioni. La donna ha la possibilità di rilassarsi e di concentrarsi meglio sulle spinte, nel momento in cui può cominciarle. Ormai questa tipologia di anestesia è stata inserita nei Livelli essenziali di assistenza: ciò significa che è gratuita. Se si opta per il parto in ospedale è quindi giusto chiedere se si potrà fruire di questa possibilità.
Va anche domandato se l’epidurale viene somministrata in qualsiasi momento del giorno e della notte. Il tutto dipende dai turni degli anestesisti (sono loro che la praticano, non i ginecologi e neanche le ostetriche). Ormai il servizio è garantito H24 quasi ovunque, ma sempre meglio saperlo in anticipo.
Parto in ospedale e Vbac
Il Vbac è il parto naturale dopo un cesareo. Fino a qualche anno fa era un’ipotesi assolutamente esclusa, ma ora si è visto che in determinate situazioni si può partorire per via vaginale dopo un primo parto cesareo (ne abbiamo parlato QUI in maniera più completa). E anzi può anche essere più sicuro di un secondo cesareo.
Anche se il Vbac comincia a diffondersi in modo abbastanza capillare, non sono tutti gli ospedali e i ginecologi che lo effettuano. Se da un lato, si possono trovare aziende sanitarie che hanno veri e propri ambulatori dedicati (ne citiamo solo uno, l’Arnas-Civico di Palermo), in altri posti le future mamme potrebbero ricevere una risposta negativa al desiderio di un Vbac. Ad esempio, le strutture più piccole non sono particolarmente “aperte” a tale modalità di parto e conviene rivolgersi a quelle di secondo e terzo livello.
Parto in ospedale e presenza del partner (o di un parente)
Al netto di qualche eccezione (del tutto legittima perché non tutti se la sentono), il ruolo del futuro papà in sala parto è cruciale. Non certo tanto quanto quello della mamma, ma anche lui conta. Ad esempio, sostiene fisicamente la sua compagna, le massaggia la schiena, le va a prendere acqua da bere o piccoli snack (non sono vietati in travaglio, ma devono essere leggeri per dare energia, senza appesantire). Oppure molto semplicemente le sta vicino e le dimostra la sua partecipazione anche se solo emotiva.
In genere il papà è il benvenuto in sala travaglio e in sala parto. A seconda delle regole dell’ospedale potrebbe però attendere fuori dalla stanza in cui si effettuano i monitoraggi per una questione pura e semplice di privacy, ad esempio se ci sono più mamme contemporaneamente ad eseguirlo. Ovviamente questa cosa potrebbe variare da ospedale a ospedale.
E in caso di cesareo? Anche qui la risposta cambia. Innanzitutto se si tratta di un intervento urgente, a seguito di un problema improvviso subentrato durante il travaglio, difficilmente il partner potrà assistere. In caso invece di cesareo programmato, dipende dall’ospedale scelto. In alcuni, il papà è accolto in sala operatoria, in altri dovrà attendere fuori.
Ospedale e posizioni per partorire
Anche questo particolare sembra scontato, ma non lo è. Secondo la maggior parte delle società scientifiche ostetrico-ginecologiche e non solo, la futura mamma deve essere lasciata libera di assumere le posizioni che preferisce durante travaglio e parto. Quella a pancia in su con i piedi infilati nelle staffe non si usa praticamente più. Oltre che essere scomoda per la donna, rende più difficile la circolazione sanguigna.
Ci sono donne che partoriscono in piedi, carponi, sedute. A causa dei dolori delle contrazioni molte preferiscono camminare oppure dondolarsi sulla palla per cercare di alleviarli. La raccomandazione dunque è quella di consentire alla partoriente di mettersi come si sente a proprio agio, senza obblighi o forzature. Ecco dunque perché ci si deve informare anche di questo in caso di parto in ospedale.
Parto in ospedale e terapia intensiva neonatale
Le strutture più avanzate (quelle che abbiamo definito di secondo e terzo livello) dovrebbero essere dotate di terapia intensiva neonatale. Questo è un punto che costituisce una grande differenza ad esempio con le cliniche private. Le case di cura private spesso hanno standard di comfort più alti rispetto a quelle pubbliche, ma non sempre hanno reparti di terapia intensiva neonatale. La stessa cosa vale anche per gli ospedali più piccoli, ad esempio di provincia o in luoghi di montagna. Se durante o dopo il parto accade qualcosa, spesso i piccini vengono trasferiti in ambulanza in altre strutture dotate di terapia intensiva neonatale. Quando si sceglie dove partorire, meglio tenere in considerazione anche questo aspetto.
Parto in ospedale e rooming-in
Si definisce rooming-in la pratica di far stare il neonato con la mamma sin da subito nella stessa stanza d’ospedale, ovviamente nella sua culletta. Questa tendenza sta superando l’abitudine di tenere i piccoli al nido, portandoli alla madre solo in alcuni momenti della giornata, in particolare per allattarli. In alcuni ospedali però ancora il rooming-in non è molto diffuso. Tra le motivazioni ci sono la necessità di far riposare di più la mamma dopo il parto ed evitare il contatto del bimbo appena nato con gli adulti che vengono a trovare la puerpera.
Le ragioni hanno un fondo di verità, ma c’è da dire che il rooming-in ha dimostrato di avere diversi vantaggi. Innanzitutto, favorisce l’allattamento al seno a richiesta perché la mamma può attaccare il figlio ogni volta che lo desidera, anticipando i tempi della montata lattea e avviando così l’allattamento nel migliore dei modi. In secondo luogo, lo speciale legame con la creatura è più immediato e la mamma può imparare da subito a prendersene cura.
Parto in ospedale: altri consigli per la scelta
Altri criteri che possono guidare nella scelta dell’ospedale in cui partorire sono:
- vicinanza da casa: è chiaro che sarebbe preferibile un luogo non troppo distante dalla propria abitazione. Dipende però molto da quello che offrono gli ospedali più vicini in termini di servizi e, soprattutto, sicurezza.
- Esistenza del pronto soccorso ostetrico: sono tante le motivazioni che, durante la gravidanza, possono rendere necessario l’accesso ai servizi di emergenza e urgenza. Rispetto a quello “normale”, il pronto soccorso ostetrico è gestito da ginecologi e generalmente si trova in prossimità del reparto di ginecologia e ostetricia. Permette inoltre di evitare le code – spesso lunghissime – del ps aperto a tutti. È dunque un ottimo servizio dedicato.
- Presenza del proprio ginecologo: ci sono donne che desiderano essere seguite fino in sala parto dallo stesso medico. Altre invece scelgono l’ospedale in cui partorire indipendentemente dai professionisti che vi operano. È una decisione molto personale che dipende anche dal rapporto instaurato col proprio ginecologo durante la gravidanza.
- Possibilità di donare il sangue del cordone ombelicale: non tutti gli ospedali sono attrezzati per la donazione del sangue cordonale (è diverso dalla conservazione delle cellule staminali). Se si desidera farlo, bisogna informarsi prima.
Frequentare il corso preparto nella struttura che si vorrebbe per il proprio parto in ospedale è un buon metodo per chiarirsi le idee, conoscere il personale sanitario e per fare tutte le domande necessarie per una scelta consapevole.
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