Servono a monitorare battito cardiaco fetale e contrazioni della mamma.

In genere, il ginecologo li prescrive verso la fine della gravidanza, intorno alla 37esima settimana 

Il termine tecnico è cardiotocografia, ma per semplificare la vita alle mamme in attesa la maggior parte delle ostetriche e dei ginecologi li chiama tracciati. Cosa sono? Si tratta di specifici monitoraggi che vengono fatti alla fine della gravidanza per valutare la frequenza cardiaca del bambino e le contrazioni dell’utero. Vediamo meglio in cosa consistono, come e quando si fanno.

Il cardiotocografo è uno strumento composto da due sonde poggiate sull’addome della mamma (vengono fissate con una fascia) e collegate ad un macchinario: la prima sonda (ad ultrasuoni) serve a rilevare il battito cardiaco fetale e le sue modificazioni. Produce il classico suono che si sente durante l’ecografia che fa il ginecologo: una specie di cavallo in corsa! La seconda sonda invece ha il compito di controllare eventuali contrazioni uterine della mamma e la loro intensità. Questo è possibile farlo perché il sensore analizza le variazioni della pressione della parete addominale, provocate appunto dalle contrazioni.

I dati di entrambe le sonde vengono poi “inviati” al cardiotocografo che li stampa su carta: sembrerà di guardare un elettrocardiogramma. Da un lato, sarà proprio così: si vedrà infatti la linea della frequenza cardiaca del bambino. L’altra striscia invece è quella delle contrazioni. Potrebbe essere piattissima, se non ce ne sono state durante il tracciato, oppure si noteranno dei picchi: più alti sono, più la contrazione è stata forte. In questo caso, la mamma l’avrà avvertita di sicuro, altrimenti possono passare del tutto inosservate.

Quando è consigliabile fare i tracciati? Se non ci sono indicazioni differenti, il ginecologo inizierà a prescriverli intorno alla 37esima settimana, quando la gravidanza ormai viene considerata a termine e ogni momento può essere buono per partorire. Di solito, se ne fa uno alla settimana, ma la frequenza potrebbe essere anche maggiore, qualora il medico si accorgesse di qualcosa da controllare in tempi più rapidi (ad esempio, anomalie nel battito fetale).

In caso di gravidanze protratte molto a lungo (oltre la 41esima settimana), la cardiotocografia potrebbe essere fatta tutti i giorni o a giorni alterni per verificare lo stato di salute del feto e le contrazioni. Oltre il termine, i controlli si intensificano, ad esempio anche per osservare la quantità di liquido amniotico, per evitare che si riduca troppo.

Un tracciato che appare irregolare non deve destare preoccupazione: il battito cardiaco del bambino è quasi sempre “ballerino”. Diventa più regolare se il piccolo dorme. Ecco perché si cerca di svegliarlo durante i monitoraggi, dando dei colpetti sulla pancia o facendo mangiare qualcosa alla mamma, in particolare cibi dolci. Il monitoraggio può durare da mezzora a un’ora circa.

La cardiotocografia è fondamentale durante il travaglio per valutare il suo andamento e l’intensità delle contrazioni, sempre insieme alla frequenza cardiaca fetale: quando i dolori sono molto forti, il battito potrebbe subire variazioni importanti. Le ostetriche quindi lo terranno in considerazione per individuare in fretta un’eventuale sofferenza fetale e intervenire di conseguenza.

Esistono sonde subacquee per chi desidera fare il parto in acqua e altre “doppie” per gravidanze gemellari (se non c’è, si usa quello classico alternandolo tra i due bimbi). In genere, i tracciati si fanno nella struttura (ospedale o clinica) in cui si è deciso di partorire: è un modo per prendere confidenza col posto e iniziare a conoscere il personale che darà poi assistenza durante il parto.